Il diario della prima MasterClass “Sergio Miceli” a Cagliari
7/12 novembre 2016
di Gianmarco Diana
Si è svolta, dal 7 all’12 novembre presso il Conservatorio Pierluigi Da Palestrina di Cagliari, la prima MasterClass di “Tecnica di composizione musicale per il cinema”, tenuta dal compositore romano Franco Piersanti, intitolata al grande Sergio Miceli ed organizzata dalla direzione del Festival “Creuza de Mà – Musica per film”, come primo appuntamento didattico nell’ambito delle attività del proprio decennale.
Ho avuto l’opportunità di partecipare al corso come uditore e questa che vi accingete a leggere è una piccola cronistoria dei sette giorni appassionanti passati insieme al Maestro Piersanti e ai corsisti – compositori e uditori, provenienti da tutta Italia – all’interno dell’aula messa a disposizione per l’occasione dal conservatorio, dotata di maxi schermo, uno straordinario pianoforte Bösendorfer Imperial (97 tasti ed otto ottave piene!) ed un’acustica invidiabile.
Le finalità del corso, espresse chiaramente già nel comunicato stampa, erano quelle di conoscere ed affinare le tecniche della drammaturgia musicale applicata al cinema, attraverso esempi audio e video che ripercorrono la storia della musica nel cinema; a questo si aggiunge l’opportunità di studiare – assieme ad un compositore d’esperienza – su partiture di maestri e autori classici.
La parte teorica e storica sfocia poi in una pratica, fatta di esperienze di scrittura su piccole scene da realizzare musicalmente, affrontando tutta la parte inerente l’organizzazione del lavoro di registrazione ed editing musicale.
Si tratta, come confermato in apertura del primo incontro dallo stesso Piersanti, di uno schema strutturale che aveva costruito insieme a Sergio Miceli, nel quale quest’ultimo si occupava di tutta la parte di storia della musica applicata con i relativi, approfonditi raffronti audio-visivi, mentre il Maestro si occupava dell’esame delle partiture e degli esercizi di composizione.
E non sono mancate splendide parole ed un commosso ricordo dell’amico Miceli (scomparso proprio quest’anno), dato che si trattava della prima volta in cui Piersanti conduceva questi incontri-seminario da solo, da quando – verso la fine degli anni Novanta – aveva prima affiancato, poi sostituito, l’amico e collega Ennio Morricone nella conduzione abbinata di questo corso.
Così, nel raccontarci – da subito – in che modo questo corso fosse figlio dell’esperienza di Sergio Miceli come codocente con Morricone nei Corsi estivi di perfezionamento dell’Accademia Musicale Chigiana di Siena (“Musica per film 1991-1996”) ed impostato sulla sua fondamentale pubblicazione “Musica per film. Storia. Estetica. Analisi. Tipologie” (Le sfere, 2009), il Maestro romano codifica le coordinate del percorso che affronteremo.
“Io mi definisco un compositore che ha trovato un’opportunità nel cinema”: con queste parole Piersanti introduce il discorso relativo a come sia cambiata la figura del compositore per il cinema negli ultimi trent’anni; partendo dalla sua personale esperienza, il Maestro ci spiega che questa affermazione si riferisce a quel particolare linguaggio che parlano i registi cinematografici, fatto più di suggestioni verbali che di musica vera e propria: l’obbiettivo dovrebbe essere quello di ricercare un’aderenza tra la visione astratta/non musicale del regista e quella pratica/musicale del compositore, ciò che si è realizzato nei migliori esempi di collaborazione tra professionisti di calibro come Alfred Hitchcock e Bernard Herrmann, Federico Fellini e Nino Rota, Sergio Leone ed Ennio Morricone, Roman Polanski e Krzsystof Komeda o Philippe Sarde, per non citare che i più noti.
Il tono è rilassato, colloquiale, le cose da dire tante, come se il Maestro stesse ancora prendendo le misure: ci chiede qualcosa di noi, cosa ci piace, se conosciamo determinati registi e compositori e si stupisce, favorevolmente, per la buona preparazione della classe.
Si parla di “temporary tracks” (quei brani di repertorio aggiunti sulle immagini dal regista o il montatore durante il mixaggio/pre-montaggio, per indirizzare il commento musicale – ndr) e di come il loro uso ormai diffuso stia diventando limitante per il compositore: considerato che la giustapposizione della musica alle immagini produce sempre e comunque un effetto, la pratica delle “temp tracks” finisce spesso col fissare il “mood” generale della colonna sonora – anche in modo inconscio nella mente del regista – con gli ovvi problemi di libertà compositiva ed interpretativa del musicista.
Cominciamo poi con i primi ascolti di compositori per il cinema, in alcuni casi uniti alle sequenze che sonorizzano, in altri no: Komeda per i titoli di “Rosemary’s baby” (1968) di Polanski, Nicola Piovani per “La notte di San Lorenzo” (1982) dei Fratelli Taviani, Philippe Sarde per “L’inquilino del terzo piano” (1976), sempre di Polanski, Ennio Morricone per “La battaglia di Algeri” (1966) di Gillo Pontecorvo.
“Nella scrittura tematica, in quella per il cinema in generale, è fondamentale creare l’incanto, il trasporto” afferma Piersanti al termine degli ascolti in questione, poco prima di affidare ai compositori iscritti al corso il loro primo esercizio: la composizione di una ninna nanna “storta e malata”, fissando l’organico a 4 strumenti più una voce, su un testo del poeta inglese John Donne.
Dopo una veloce pausa pranzo siamo di nuovo in aula per un’altra serie di ascolti: per parlare di drammaturgia musicale analizziamo il lavoro di Bernard Herrmann, un compositore fondamentale per la musica applicata e per lo stesso Piersanti, che confessa di amarlo tantissimo; analizziamo diversi estratti audio-visivi dalla sua produzione, dalla mitica scena della doccia in “Psyco” (1960) ai titoli di testa o altre scene tratte da film come “Twisted nerve” (1968) di Roy Boulting, “Taxi driver” (1976) di Martin Scorsese, ”Sisters” (1973) e “Obsession” (1976) di Brian De Palma.
La carriera di Herrmann è esemplificativa di alcune regole importanti nella scrittura per il grande schermo: il compositore, anche dopo aver parlato col regista e lo sceneggiatore, dopo aver visto il film o alcune sue parti alla moviola, dopo aver letto la sceneggiatura o visitato il set durante le riprese, deve comunque riuscire a rimanere “distaccato”, a mantenere la mente aperta, ad usare l’immaginazione, a mantenere un pensiero musicale autonomo, fluido e libero.
Piersanti ci racconta di come la famosa sequenza musicata della doccia – che originariamente non doveva avere commento sonoro – sia molto più complessa di quello che appaia (e di come sia concettualmente legata alla chiaccherata sulla tassidermia che Norman Bates e Marion Crane fanno nel salottino del motel, qualche minuto prima): quei violini acuti e taglienti non solo sottolineano l’affondo delle coltellate, ma in qualche modo rappresentano la voce stessa degli animali impagliati (cfr. “A Heart at Fire’s Center: The Life and Music of Bernard Herrmann” By Steven C. Smith, Maggio, 2002); l’invito è, dunque, quello ad evitare il didascalismo, la retorica musicale, a mantenere sempre una proporzione tra musica e immagini, per non incorrere in indesiderati effetti stranianti o grotteschi, perchè “anche il <<non dire>> è importante nella musica, soprattutto in quella per il cinema”.
I giorni successivi filano via in maniera più spedita, come se il ghiaccio fosse stato rotto, ed anche lo scambio tra docente e corsisti si fa più serrato.
Piersanti insiste sulla caratteristica di “autonomia” che la musica per il cinema deve mantenere rispetto alle immagini.
Parliamo dunque di “autonomia” della musica riferendoci alla necessità (già espressa chiaramente da alcuni compositori, su tutti Ennio Morricone) che la musica si “regga in piedi da sola”, anche senza l’accoppiamento con le immagini per le quali – paradossalmente – è stata creata.
L’argomento è interessante e provoca immediatamente una serie di botta e risposta tra corsisti; per dimostrare l’assunto il Maestro procede con una nuova serie di ascolti e visioni cinematografiche: guardiamo ed ascoltiamo i titoli di testa del film inglese “Tom Jones” (1963) diretto da Tony Richardson, ma la musica originale, composta da John Addison, la ascoltiamo solo per ultima, dopo aver sperimentato come “funzionassero” quelle stesse immagini accoppiate alla musica di compositori come Bach o Stravinsky, ad esempio.
L’esperimento è interessante e l’insegnamento che se ne trae viene racchiuso nel consiglio di tenere “aperta” (modificabile) il più possibile la partitura fino alle operazioni di missaggio e montaggio, scrivendo orchestrazioni ricche, che contemplino la possibilità di essere rimaneggiate all’occorrenza. Si parla, dunque, dell’importanza della fase di missaggio, dell’orchestrazione, di come l’insegnamento deii grandi autori classici sia penetrato profondamente anche nella scrittura della musica per le immagini, del concetto di “cluster” (un gruppo di note adiacenti – solitamente da tre a cinque – suonate simultaneamente, ndr), e si prosegue con ascolti e raffronti diversificati: da “Catch me if you can” (2002) di Steven Spielberg con un geniale lavoro di sincronizzazione sui titoli di testa da parte di John Williams, al classico “The man with the golden arm” (1955) di Otto Preminger, con quella che si può definire una delle prime colonne sonore di “crime jazz” ad opera di Elmer Bernstein; dalla straordinaria partitura di Bernard Herrmann per “North by NorthWest” (1959) di Alfred Hitchcock agli epici titoli di testa di Alex North per lo “Spartacus” (1960) di Stanley Kubrick, musica fortemente ispirata dai compositori russi del ‘900, Prokofiev (la colonna sonora di “Alexander Nevsky” di Sergei Eisenstein, 1938) e Shostakovich (in particolare la “Sinfonia n.7 – Op.60 – Leningrado”, 1941) su tutti.
La giornata si chiude con l’ascolto delle composizioni realizzate dai corsisti (la nenia sulla poesia di John Donne, ed una propria sonorizzazione di un frammento del documentario francese “Microcosmos”, diretto nel 1996 da Claude Nuridsany and Marie Pérennou, musicato da Bruno Coulais); così, tra riferimenti a Mahler e Brahms, Schoenberg e Britten, musica concreta e atonale, chiudiamo la giornata con alcuni ascolti con lettura di partitura, provenienti dall’esperienza dello stesso Piersanti [diversi brani dalla colonna sonora di “Anni felici” (2013) di Daniele Luchetti].
Il giorno successivo si apre su un doppio ragionamento, il primo legato in generale alla rapidità dei tempi lavorativi nel mondo del cinema (e della musica per il cinema, in particolare), il secondo basato su una comparazione tra il lavoro del compositore per il cinema e quello per la televisione.
Dopo aver opportunamente differenziato le produzioni televisive in base al paese di provenienza e al budget, sottolineando i differenti approcci per quanto riguarda le cifre a disposizione della colonna sonora in un caso e nell’altro e la quantità (decisamente più abbondante) di musica richiesta al musicista nel caso delle serie tv, Piersanti passa in rassegna alcuni lavori italiani per la tv, sia a firma propria (gli ottimi lavori composti ad esempio per “Il Commissario Montalbano”, con diversi film tv RAI, dal 1999 fino ad oggi), che di altri colleghi coinvolti in diverse produzioni RAI o Mediaset.
Viene sollevato poi l’argomento relativo all’utilizzo di musiche di repertorio (classica, jazz, pop, rock, etc) all’interno delle produzioni cinematografiche e televisive: anche sull’argomento i punti di vista variano, ed è importante – secondo Piersanti – ricercare una sorta di coerenza narrativa e musicale, soprattutto quando le musiche originali del compositore hanno una loro poetica interna forte, che non può essere adombrata da una scelta erronea delle musiche di repertorio.
Piersanti cita alcuni esempi personali sull’argomento, tratti dalla lavorazione del film “Mio fratello è figlio unico” (2007), diretto sempre da Daniele Luchetti, nel quale (come da titolo di una nota canzone del cantatutore Rino Gaetano) la musica originale del compositore convive, e bene, con alcune canzoni celebri dell’epoca in cui il film è ambientato (i tardi anni Sessanta), da Nada a Little Tony, fino a Betty Curtis. Si tratta di un espediente molto utilizzato nel cinema (si pensi a tutti quei film italiani – commedie, musicarelli, film di genere – prodotti nei primi anni ’60, nei quali era coinvolta la RCA Italiana, ma anche a Martin Scorsese o Quentin Tarantino, ad esempio), ma nella ricetta italiana sembra esistere una maggiore compenetrazione tra i due apparati musicali.
Un altro esempio di questo modus operandi viene riscontrato in un film abbastanza recente e di grande successo, “Drive” (2011) di Nicolas Winding Refn, in cui le cupe e rallentate cadenze musicali create da Cliff Martinez convivono con alcuni brani di repertorio, dall’elettronica di Kavinsky al pop sintetico dei Desire e di The Chromatics, fino al vero e proprio coup de teatre rappresentato dall’utilizzo del brano “Oh my love” (composto – nel 1971 per il mondo movie “Addio Zio Tom” di Jacopetti & Prosperi – dal Maestro Riz Ortolani ed interpretato dalla voce della moglie Katyna Ranieri), che – utilizzato nella scena della strage al bar – complice una slow motion molto efficace, ottiene un effetto fortemente emozionale e straniante.
Gli ultimi tre giorni del corso proseguono regolarmente, con una maggiore attenzione sulle prove pratiche assegnate dal Maestro ai corsisti: ascoltiamo insieme le loro composizioni, con le partiture aperte sul maxi schermo, per confrontarci sulle idee di base, sull’orchestrazione, sulla timbrica degli strumenti (altro elemento fondamentale, spiega il Piersanti, per costruire un suono originale e riconoscibile all’interno del mare magnum di produzioni per il cinema e la tv), sull’importanza della scrittura “tematica”: tra le clip assegnate lavori molto vari, dai corti di Georges Méliès (“Un homme de têtes” del 1898, “L’homme-orchestre” del 1900) a “Nosferatu il vampiro” (1922) di Friedrich Wilhelm Murnau, fino a “Pancho, el perro millonario” (2014) di Tom Fernandez.
Mentre alcuni dei corsisti utilizzano il breve tempo concesso loro per elaborare i propri lavori, io ne approfitto per svolgere un’intervista col Maestro Piersanti (che a breve pubblicheremo integralmente, ndr): parliamo di Sergio Miceli, della MasterClass in corso e degli studenti intervenuti, dei suoi esordi come compositore per il cinema, della figura di chi svolge questo mestiere oggi, etc etc.
Gli ultimi due giorni trascorrono, così, all’insegna degli ascolti del materiale originale dei corsisti e di ulteriori esempi di musica applicata: da colossi del cinema come “Butch Cassidy & The Sundance kid” (1969) di G. R. Hill, con la fantastica colonna sonora di Burt Bacharach accompagnato dai Ron Hicklin Singers, fino al più recente “Il giovane favoloso” (2015) di Mario Martone, con musiche davvero particolari del musicista tedesco Sascha Ring (noto anche con lo pseudonimo Apparat, per i suoi lavori di impronta più strettamente elettronica, ndr), vincitore del Premio “Piero Piccioni” per la miglior colonna sonora alla 71° Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia (2014), con la seguente motivazione: “Per l’inventiva con la quale il musicista riesce a innestare nel corpo delle immagini di Mario Martone sonorità e mondi apparentemente lontane da esse e a creare il tessuto emotivo di una percezione del mondo e della bellezza assolutamente originale. Il conflitto del poeta Leopardi con il mondo trova nelle strutture sonore di Ring un sorprendente correlato oggettivo che ne porta alla luce tutta la problematica ricchezza. La sfida di Martone di spezzare la percezione musealizzata di Leopardi trova nella scelta di Sascha Ring l’elemento in grado di calare la visione del poeta in una prospettiva schiettamente contemporanea. In questo modo l’alleanza fra regista e musicista ricrea quel senso di spaesamento che l’opera di Leopardi ha provocato nei contemporanei del poeta e che Martone ha riprodotto come discontinuità dalle versioni ufficiali. Un risultato originale e audace che possiede il dono di spiazzare, sorprendere, commuovere” (G.A. Nazzaro).
Un cerchio che si chiude, in pratica.
Da segnalare infine due interventi molto apprezzati dai corsisti: il primo, quello di Adriano Aponte, pluripremiato giovane compositore e pianista napoletano, “figlio” del prestigioso Berklee College of Music di Boston dove ha studiato “Film Scoring” ed ha successivamente ottenuto il suo Master’s Degree in Scoring for Film, TV and Video Games presso il campus di Valencia in Spagna, dove ha anche lavorato in qualità di Assistente di Tecnologia Musicale ai laureandi; in collegamento via Skype, Aponte si presta con pazienza e simpatia alle tante domande rivoltegli dal Maestro e dai corsisti, portando una ventata di freschezza, ma anche ribadendo la durezza, la fatica e l’abnegazione che un musicista che si dedica alla musica applicata deve possedere.
Il secondo, quello di Gianfranco Cabiddu, regista, direttore artistico del festival “Creuza De Mà – Musica per film” ed amico personale di Piersanti (il quale ha musicato diversi film del nostro): l’intervento di Cabiddu sposta la prospettiva dalla parte del regista (per quanto sui generis, avendo questi studiato musica al conservatorio e svolto diverse professioni del cinema – dal rumorista al montatore – prima di diventare regista) e stimola dunque una serie di intreressanti curiosità dei corsisti.
Ancora il tempo di fare una foto di gruppo per celebrare il compleanno del Maestro Morricone e di completare gli ascolti delle composizioni originali dei corsisti, per poi passare ai lavori di chiusura, con la consegna degli attestati di partecipazione ed una serie di scambi dialettici più personali tra Piersanti e i giovani compositori iscritti alla MasterClass; vengono poi assegnate le clip di immagini da sonorizzare per l’esame finale del corso: l’esecuzione dal vivo – l’11 dicembre, nell’ambito della seconda tranche del festival “Creuza De Mà” – delle 5 composizioni selezionate presso il Conservatorio di Cagliari, con un ensemble assemblato per l’occasione e la direzione d’orchestra dello stesso Piersanti (che ha pure creato una delle clip assegnate agli studenti).
Qualche scambio di opinione, gli ultimi – immancabili – consigli e i saluti finali con torta e brindisi, per quelli che sono stati 7 giorni fantastici, impegnativi e davvero formativi.
Non c’è dubbio che questo tipo di corsi rispecchino la personalità e la formazione del compositore chiamato a tenerli, e questo è risultato evidente anche col Maestro Piersanti: pochi (o scarsi) riferimenti all’utilizzo del rock, alla black music, all’elettronica o alla commistione di questi generi diversi nella musica applicata, tutti ambiti piuttosto estranei all’opera del compositore in questione, che lavora sostanzialmente su un impianto neo-classico e con la grande orchestra. Ma è lo stesso Piersanti a sottolinearlo, affermando che “questa che vi ho riportato è la mia esperienza, figlia del mio percorso di studi e degli incontri che ho fatto nella mia vita.. l’anno prossimo verrà un altro compositore e vi potrà dire anche l’esatto contrario di ciò che vi ho ripetuto io per giorni, ma è questo il bello della musica e di quella applicata in particolare: non ha un valore oggettivo.”
Gianmarco Diana
Un plauso e un ringraziamento al Maestro Franco Piersanti, a Gianfranco Cabiddu, a Mattea Lissia, Francesca Madrigali, Monica Mureddu e l’associazione Backstage, al Conservatorio di Cagliari.
Un saluto affettuoso a tutti i corsisti che hanno partecipato alla MasterClass.
INFO: Festival Creuza De Mà – Musica per film
CinematiCA – Suoni da e per il Cinema